La Società Italiana Alpaca (S.I.A.) segue e approfondisce con grande interesse le tematiche legate agli aspetti sanitari dei camelidi sudamericani.
Coadiuvata da medici veterinari specializzati in questa specie animale, si occupa della stesura e pubblicazione di articoli scientifici, che trattano varie problematiche in ambito veterinario, al fine di affrontarle correttamente, con le giuste diagnosi e arrivare alla completa risoluzione.
In questo ultimo anno anche in Italia si incomincia ad affrontare la problematica legata all’infezione batterica da “Candidatus Mycoplasma Haemolamae (CMhl)”, nello specifico la S.I.A. si è avvalsa della collaborazione del Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Milano, che vede come relatori la Dott.ssa Laura Filippone Pavesi e il Dott. Antonio Boccardo, operanti presso la Clinica dei Ruminanti dell’Ospedale Veterinario di Lodi.
Di seguito potrete prendere visione di questo importante scritto, che illustrerà una problematica attuale che non va assolutamente sottovalutata, ma affrontata correttamente, al fine di risolverla al meglio.
Ci teniamo a ringraziare i relatori e siamo molto entusiasti di questa collaborazione, al fine di diffondere importanti nozioni che andranno a salvaguardare il benessere di questa meravigliosa specie animale.
Il Mycoplasma haemolamae, un problema da non sottovalutare
Laura Filippone Pavesi¹ e Antonio Boccardo¹*
¹ Dipartimento di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano, Via dell’Università 6, 26900 Lodi, Italy;
* Autore per la corrispondenza: ; Tel. +390250334149; reperibilità h24 Clinica dei Ruminati e del Suino, Ospedale Veterinario di Lodi +39 3341064108
Candidatus Mycoplasma haemolamae (CMhl) è un batterio Gram negativo specie-specifico che colpisce i camelidi sudamericani. Il nome di questo microrganismo proviene dai risultati di alcune analisi genetiche condotte su determinati patogeni appartenenti ai generi Hemobartonella ed Eperitrozoon. Originariamente i CMhl erano classificati come membri della famiglia Anaplasmataceae ma da alcuni anni sono stati riclassificati come micoplasmi emotropici (emoplasmi) (Messick et al., 2002; Neimark et al., 2001). La denominazione Candidatus indica che questi batteri non sono ancora stati completamente descritti come patogeni veri e propri. Presentano una forma ad anello o coccoide di 0,5-1,0 micron di diametro e sono privi di parete batterica. Classicamente parassitano la superficie degli eritrociti ma non sono in grado di penetrarne la parete.
I micoplasmi emotropici sono stati descritti per la prima volta nei camelidi sudamericani nel 1990 (McLaughlin et al., 1990; Reagan et al., 1990). Studi epidemiologici effettuati su popolazioni di alpaca e lama allevati in Perù e in Cile hanno evidenziato una prevalenza di animali infetti all’interno dei singoli allevamenti che variava dal 9,2% al 19,3% (Tornquist et al., 2010). Un altro studio su soggetti importati in Svizzera e in Germania ha mostrato una prevalenza del 18,6% della popolazione complessiva con quasi il 40% degli allevamenti testati con almeno un animale positivo (Kaufmann et al., 2011). In Italia non sono ancora stati eseguiti studi epidemiologici su larga scala, ma alcuni animali infetti sono stati ricoverati presso la Clinica dei Ruminanti e del Suino dell’Ospedale Veterinario di Lodi, Università degli Studi di Milano.
Gli animali infettati da CMhl sono solitamente caratterizzati da un’anemia subclinica anche se, nei soggetti immunodepressi, stressati o contemporaneamente infettati da altri organismi, è possibile evidenziare segni clinici più importanti con concomitante presenza di microorganismi visibili allo striscio di sangue (Hutchison et al., 1992; Barrington et al., 1997; Lascola et al., 2009). Ad esempio, soggetti giovani che hanno ricevuto una colostraura non adeguata, malnutriti o con alti livelli di parassiti, possono evidenziare una forma clinica spesso severa, caratterizzata da depressione del sensorio, ittero, febbre e perdita di peso (Reagan et al., 1990; Almy et al., 2006; Tornquist et al., 2010; McLaughlin et al., 1990). In questi soggetti, l’infezione da micoplasmi emotropici è talvolta associata a grave ipoglicemia soprattutto se la batteriemia è grave (Sutton, 1977; McLaughlin et al., 1990). Questa forma di grave ipoglicemia si caratterizza con soggetti apatici o addirittura comatosi ed è stata segnalata sia nei neonati che nei camelidi anziani (McLaughlin et al., 1990).
La diagnosi si basa sulla valutazione microscopica dello striscio ematico. Nei casi con elevata parassitemia, molti globuli rossi sono ricoperti da corpuscoli basofili caratterizzati da forme tonde, ad anello, cocchi o bastoncelli che però possono essere anche liberi sullo sfondo dello striscio (Weiss et al., 2010) (Figura 1). La valutazione microscopica del sangue di animali in cui si sospetta un’infezione da CMhl ha, però, dei limiti diagnostici. Lo striscio di sangue deve essere allestito immediatamente poiché i CMhl in provette con anticoagulante (EDTA) muoiono, si staccano dalla parete dei globuli rossi e possono essere confusi con detriti cellulari. La batteriemia è solitamente ciclica e, in particolar modo quando si caratterizza per un basso numero di agenti infettanti, potrebbe passare inosservata rendendo questo metodo diagnostico poco sensibile (Tornquist et al., 2009). La valutazione di un campione ematico con la polymerase chain reaction (PCR) ha, invece, il pregio di essere una tecnica diagnostica molto più accurata e capace di diagnosticare anche le forme di infezioni subcliniche (Tornquist et al., 2011). Questa tecnica consente la moltiplicazione anche di piccoli frammenti di DNA del microorganismo che quindi potrebbe rivelarsi anche in assenza di patogeni visibili allo striscio di sangue. La PCR, quindi, rappresenta il metodo diagnostico più accurato per la diagnosi di infezione da CMhl.
Le vie di trasmissione non sono state ancora completamente identificate. Gli insetti ematofagi e la somministrazione di farmaci ad uso parenterale (senza cambiare l’ago da animale ad animale) possono essere classificati come probabili vie di trasmissione, come, del resto. è stato già dimostrato per altre specie di emoplasmi (Messick, 2004). Oltre alla trasmissione orizzontale, la trasmissione del patogeno attraverso la placenta è stata dimostrata dalla nascita di neonati infetti nati da madri asintomatiche (Fisher et al., 1996, Almy et al., 2006, Tornquist et al., 2011).
La terapia maggiormente descritta in letteratura si basa sull’utilizzo della ossitetraciclina. Il trattamento di camelidi clinicamente affetti con l’ossitetraciclina spesso diminuisce i segni clinici, migliora l’anemia e riduce/elimina i microorganismi visibili allo striscio ematico (Barringotn et al., 1997; McLaughlin et al., 1990). Non è noto però se l’ossitetraciclina elimini completamente l’infezione (Tornquist et al., 2009). Il protocollo terapeutico maggiormente utilizzato come terapia contro CMhl è il seguente:
- giorno 1: 11 mg/kg ossitetraciclina (IV) e 20 mg/kg 200 ossitetraciclina long acting (LA) per via sottocutanea;
- 3,6,9, e 12 giorni dopo la prima somministrazione delle due tipologie di ossitetraciclina si ripete esclusivamente quella LA per via sottocutanea a 20 mg/Kg (Johnson et al., 1994).
- Una trasfusione di sangue può essere necessaria quando l’ematocrito dei soggetti colpiti è inferiore al 10% (Fowler et al., 2010).
Benché la terapia si dimostri tendenzialmente favorevole nei confronti della sintomatologia clinica, uno dei grossi problemi di questa patologia è rappresentato dal fatto che molti camelidi, una volta infettati, rimangono portatori cronici (asintomatici) indipendentemente dall’essere stati sottoposti alla terapia. Questi devono quindi essere ritenuti “infetti” e gestiti in maniera oculata perché possono essere fonte di contagio per gli altri animali con i quali convivono (Tornquist et al., 2002/2009).
Per ridurre la trasmissione di CMhl è innanzitutto fondamentale immettere nuovi animali solo se negativi all’esame PCR, inoltre, in particolar modo quando all’interno della mandria si sia a conoscenza della presenza di animali potenzialmente portatori, la gestione della biosicurezza aziendale deve essere deve essere considerata di preminente importanza. Ridurre al minimo le presenze di vettori ematofagi (pidocchi, acari, mosche pungenti, moscerini, zanzare e zecche) e migliorare le buone pratiche di igiene aziendale (gestione più oculata di aghi, siringhe o altre attrezzature che possono potenzialmente trasferire sangue infetto) deve essere un obiettivo fondamentale per ridurre al minimo la trasmissione all’interno della mandria, in modo da evitare che i soggetti più deboli o esposti ad altre patologie possano incorrere in infezioni gravi che spesso sfociano in sintomatologie cliniche difficili da gestire in azienda.
DIDASCALIA FIGURA 1. Striscio di sangue periferico proveniente da un alpaca di 2 mesi di vita ricoverato presso la Clinica dei Ruminanti e del Suino dell’Ospedale Veterinario di Lodi. È evidente l’aspetto microscopico del Mycoplasma haemolamae e la massiccia parassitemia eritrocitaria. Notare i numerosi organismi sulla superficie degli eritrociti, così come nello spazio plasmatico. La successiva analisi alla PCR ha confermato la massiccia in infezione da M. haemolamae. (Per gentile concessione del Laboratorio di Patologia Clinica dell’Ospedale Veterinario di Lodi)
Figura 1

Bibliografia consultata
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